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Come fare impresa per fronteggiare la Crisi e la Concorrenza Sleale.

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Come si fa (o meglio, dovrebbe fare) impresa oggi? C'è futuro per le PMI soprattutto nel Sud Italia?

Se ti aspetti di leggere il classico articolo dove la verità viene espressa con giri di parole per non offendere nessuno, se sei sensibile e poco portato alla verità nuda e cruda, se ti piace esser preso in giro, lascia stare. Questo articolo non è per te!

Se vuoi un’analisi concreta di ciò che vivo tutti i giorni nel mio lavoro, allora seguimi per un attimo, in un noioso ufficio pieno di carte e mansioni da completare in una giornata autunnale del 2008.

Ero lì al pc, tutto concentrato nello stilare una guida per l’utilizzo del nuovo gestionale aziendale destinato al personale dell’azienda per cui lavoravo all’epoca.

Nonostante ci avessi messo tutto l’impegno che potevo per renderlo di facile utilizzo e permettere a tutti di sfruttarne le potenzialità, i dipendenti (dirigenti compresi) che poi avrebbero dovuto utilizzare il software, furono particolarmente restii all’utilizzo di quella nuova tecnologia. Di fatti, impiegammo anni per “mettere a regime” quel software che non fu mai sfruttato a dovere e che comunque non fu mai adottato da tutto il personale.

In pratica era visto più come un fastidio che non come un acceleratore del lavoro. Per loro era molto più comodo utilizzare il vecchio, inaffidabile, ma pur sempre familiare Excel, che non cambiare in meglio. In altre parole quell’azienda riconosciuta sul mercato come innovativa e tecnologica, all’interno faticava a tenere il passo della vera innovazione.

Perché ti parlo di questo episodio? Perché a distanza di quasi 10 anni, le cose ahimè non sono affatto cambiate. Non mi credi? Beh lascia che ti racconti cosa è successo qualche mese fa in Rocket Marketing, la mia azienda specializzata in Marketing e processi d’acquisto dei consumatori.

Rientro in ufficio dopo un incontro con un potenziale cliente, mi siedo alla scrivania per censire nel CRM i suoi dati informativi (le domande e le obiezioni che mi ha posto, i suoi dubbi etc.) e sale in me un incredibile rammarico.

Quei dati preziosissimi, che catalogo per migliorare sia il mio Marketing aziendale sia le trattative di vendita, erano “solo” i dati dell’ennesima azienda a rischio fallimento che non potevo aiutare nell’acquisire nuovi clienti. Anche se molto nota sul territorio, non potevo accettarla come cliente, perché non era, e non è, strutturata per ottenere i giusti risultati dal Marketing.

Il mio lavoro è realizzare piani di Marketing strategici e operativi per le piccole e medie imprese, ma se mancano dei requisiti minimi nell’azienda cliente, il mio lavoro risulta sempre inefficace e non per mia responsabilità.

Quello che voglio trasmetterti è che nonostante siano passati quasi 10 anni da quella mia esperienza da dipendente, nonostante senta spesso paroloni come innovazione, business, eccellenze, qualità, processi etc. nonostante molte aziende godano persino di ottima fama al Nord Italia e all’estero, se analizzassimo in profondità la loro struttura, se le osservassimo al loro interno, ci accorgeremmo immediatamente di come la loro organizzazione sia a dir poco inadeguata alle nuove esigenze di mercato!

Una cosa che ho accertato grazie al mio lavoro è che le imprese del nostro territorio (come per la quasi totalità del Sud Italia) vengono avviate e gestite senza un vero approccio imprenditoriale, con una mentalità vecchia e obsoleta, dove l’imprenditore è in realtà un semplice “Prenditore”.

Che si tratti di una micro, piccola o media impresa, che si tratti di un’attività immobile (bar, ristorante, concessionario, abbigliamento etc.) o che si tratti di un’organizzazione più strutturata (attività di consulenza, produzione industriale etc.), poco importa. Sono per la maggior parte organizzate male e senza alcuna visione strategica.

Tant’è che quando “entriamo” nelle aziende per strutturarle dal punto di vista del Marketing, se non hanno una buona organizzazione interna, automaticamente e inevitabilmente andiamo a sollevare altri problemi.  Considerato che fare Marketing significa proteggere un business e mettere insieme strategie e tattiche – online e offline – finalizzate a ottenere nell’ordine:

  • posizionamento
  • acquisizione clienti
  • fidelizzazione clienti
  • aumento vendite
  • aumento transazioni medie e di conseguenza aumento utili

l’azienda dev’essere necessariamente PRONTA e ORGANIZZATA a “reggere” ciò che il Marketing provoca. Dev’essere in grado di reggere più clienti, più lavoro, più informazioni e più esposizione economica/finanziaria senza alcun problema.

Invece, il più delle volte, ci rendiamo conto che le aziende fanno impresa in totale mancanza degli strumenti di base e dei concetti fondamentali che dovrebbero essere l’ ABC del business odierno.

Ci troviamo di fronte a imprese che operano in totale assenza di:

Informatizzazione aziendale. Ovviamente non sto parlando del pc performante o della suite Office – che il più delle volte è una versione pirata – ma della totale assenza di strutture informatiche atte alla conservazione e preservazione dei dati: sistemi di backup automatici, sistemi di Disaster Recovery, sistemi antivirus, etc. Perché il più delle volte basta che un hard disk collassi oppure che un dipendente “scontento” porti via documenti preziosi a far perdere anni di lavoro (ne ho parlato in maniera approfondita in questo articolo).

Adozione di Software Gestionali e Software CRM. In quasi nessuna delle aziende da cui ho acquistato prodotti o servizi mi sono stati chiesti dati per restare in contatto (nome, telefono e indirizzo email). Da nessuna di queste attività ho mai ricevuto offerte profilate sulle mie abitudini di acquisto. Da nessuna di queste attività ho mai ricevuto aggiornamenti in merito ai successi aziendali, al riassortimento dei prodotti/servizi e non sono mai stato “inseguito” per far sì che riacquistassi i loro prodotti. Ironia della sorte, le stesse aziende si lamentano quotidianamente della “crisi”, della contrazione dei consumi, della GDO, dei massoni, delle banche etc.

Stessa storia quando invece sono consulente per queste aziende. Certo vengo interpellato appositamente per strutturare strategicamente questo tipo di azioni, ma è mai possibile che in tanti anni di attività non ci abbiano mai pensato? È possibile che non abbiano in casa dati che valgono Oro:

  • demografica media del target ideale
  • spesa minima, media e massima per cliente, in media e per periodi
  • segmentazione dei clienti
  • abitudini di acquisto
  • problemi maggiormente lamentati
  • obiezioni più frequenti esposte
  • database contatti (nome, cognome, telefono, email etc.)
  • prodotti o servizi di maggior interesse
  • prodotti o servizi più venduti
  • prodotti o servizi meno venduti
  • prodotti o servizi meno popolari
  • prodotti o servizi con più margini
  • costo di acquisizione cliente
  • costo di acquisizione lead
  • costo per vendita
  • costo per azione

e potrei continuare all’infinito.

Processi aziendali. Quasi mai esistono procedure e protocolli standard da seguire per ogni singolo ambito aziendale, dalla vendita alla contabilità, dalla produzione al rapporto con i clienti. È tutto affidato all’ispirazione e all’umore dell’imprenditore di turno. Sai invece qual è il vero compito di ogni imprenditore che si rispetti? È quello di diventare inutile alla propria organizzazione!

Sembra un concetto paradossale, ma in realtà non lo è. L’unico vero obiettivo di un Imprenditore è quello di rendere “automatica” l’azienda, affinché possa essere produttiva anche in sua assenza, in alternativa si è solo un dipendente che si fa carico di rischi e se tutto va bene beneficia degli utili. Avere dei protocolli e delle procedure standard permette di accelerare il processo di adattamento di ogni nuovo dipendente e di non essere dipendente da nessun dipendente, perdona il gioco di parole. Una delle più comuni lamentele che sento dai miei clienti è la classica frase “Se manco io sai cosa succede qui dentro?!”. Mi dispiace dirlo, ma non è così che si gestisce un’azienda. Ti basti sapere che i sociologi hanno individuato due nuovi tipi di “schiavi”, i primi sono i possessori di partita Iva, i secondi te li rivelo tra qualche riga.

Politiche di assunzione. Il più delle volte ci accorgiamo che per la selezione del personale c’è solo il titolare oppure una persona completamente incompetente su tematiche quali psicologia del lavoro, attitudini relazionali e comunicazione. Per non parlare di quei casi in cui si assume solo per favoritismi. Hai mai pensato che in questi casi il problema è che il favore lo si sta facendo solo ed esclusivamente a chi “succhierà” uno stipendio, senza portare vero valore in cambio né all’imprenditore, né ai suoi collaboratori, né alla sua azienda. La teoria dovrebbe essere assumere persone più intelligenti e preparate dell’imprenditore stesso in aree specifiche e lasciare che siano loro a indicare e mettere in atto tattiche per migliorare l’andamento dell’azienda. Se invece rimangono semplici esecutori, senza autonomia e budget decisionali, che senso ha assumerli?

È normale poi che quando attraverso la globalizzazione, il marketing, la rete, arrivi un’azienda appena più strutturata (credimi basta davvero pochissimo) questa faccia terra bruciata ed elimini dal mercato anche aziende storiche.

Politiche di carriera. I secondi tipi di schiavi sono i dipendenti. Se sei un imprenditore (anche se non lo sei non fa nessuna differenza), probabilmente ricorderai i motivi che ti hanno spinto ad aprire la tua azienda, a metterti in proprio e a rischiare il tuo denaro. Uno dei motivi principali che solitamente accomuna tutti noi imprenditori e che ci ha spinto a “metterci in proprio” è stato quello di voler realizzare un sogno, il proprio unico e irripetibile sogno, non quello di qualcun altro. Se diamo per assunto che tutti gli esseri umani non siano automi lobotomizzati oppure limoni da spremere e sfruttare, cosa ti fa credere che gli stimoli che tu abbia provato all’epoca non possono essere provati anche dai tuoi collaboratori?

Un ambiente di lavoro non può essere ostile, non può sembrare una prigione in cui barattare il proprio tempo in cambio di uno stipendio fisso. Un ambiente di lavoro produttivo deve necessariamente possedere alcune caratteristiche fondamentali, come ad esempio (fattori basati sulla ricerca della Resume Professional Writers):

Ambiente positivo: un’ambiente rilassato aiuta a creare sinergie positive e innescare un processo di crescita efficiente del lavoro. In un contesto di questo tipo, i colleghi ridono e parlano mentre lavorano. (La conosci la storia della formica produttiva e felice?)

Comunicazione chiara: una buona comunicazione è alla base di tutto nella vita. È mai possibile che ho vissuto situazioni in cui dovevo avere l’ansia nel dover chiedere un giorno di ferie o un paio di ore di permesso?

Basso ricambio dello staff: un basso ricambio dello staff è sinonimo di dipendenti che hanno un buon rapporto con il proprio luogo di lavoro, e ciò significa che non avvertono la necessità di cambiare luogo e formano legami di fiducia stabili e duraturi.

Opportunità di crescita: ciò che mi spinse ad aprire la mia attività licenziandomi fu la consapevolezza che se fossi rimasto lì dov’ero non avrei fatto un solo passo in più nel mio percorso professionale. Oggi spendo un’enormità di denaro in formazione, libri, webinar, corsi specializzanti etc. per me e per i miei collaboratori, ed è tutto protocollato. Ma sarebbe una grossa perdita per la nostra agenzia se solo una delle risorse dovesse andare via. Perché anche se assumessi una nuova persona e questa trovasse tutte le procedure da seguire per non sbagliare, i corsi già pronti e catalogati, non avrebbe comunque l’esperienza accumulata da chi è andato via. È una perdita che nessuna azienda dovrebbe permettersi ed io faccio di tutto perché questo non accada nella mia agenzia.

Per farti un esempio concreto all’interno di Rocket Marketing, oltre a non avere orari di lavoro (si lavora per obiettivi e scadenze e ognuno gestisce in autonomia il proprio tempo), abbiamo un percorso di crescita che consiste nel cedere ai miei collaboratori, a raggiungimento di un certo fatturato, delle quote societarie. Spero tu possa comprendere come sia tutto collegato: più loro si impegnano, più risultati riusciamo a dare ai nostri clienti. Più i nostri clienti ottengono risultati, più ci sono fedeli e ci sponsorizzano. Più clienti acquisiamo e più fatturiamo. Più fatturiamo e più utili saranno divisi tra tutti i componenti della squadra. Un circolo virtuoso che non ha mai fine! Questo non fa altro che creare un agonismo positivo che aiuta sia in termini di rendimento che di soddisfazione personale. Infatti ai miei collaboratori vengono costantemente attribuiti compiti, competenze e responsabilità maggiori andando ad innalzare le loro abilità e di conseguenza quelle dell’azienda intera. Guarda caso non c’è mai bisogno di chiedere a nessuno di loro di fare “straordinari” e di anticipare l’ingresso in ufficio…è tutto automatico e naturale!

Non sto dicendo che tutte le aziende siano nelle condizioni di fare la stessa cosa, ma sono sicuro che con un minimo di ragionamento ogni azienda possa pianificare incentivi alla crescita. Non vanno fidelizzati solo i clienti, ma anche e soprattutto le risorse interne.

Ho garanzie che i collaboratori di oggi rimangano sempre con me? Assolutamente no, ma almeno avrò contribuito a introdurre valore nel mercato dandolo alle persone. Inoltre ho un sistema di “selezione del personale” che si basa sulle attitudini della persona, non sulle sue competenze (quelle si acquisiscono nel giro di qualche mese grazie ai protocolli) o sulle sue raccomandazioni (non devo favori a nessuno).

Supporto tra colleghi e zero pettegolezzi. Sono sempre stato un convinto sostenitore del fatto che un ambiente di lavoro sereno e privo di invidia e pettegolezzi renda più performante l’azienda. Numerosissime ricerche infatti sostengono che avere degli impiegati felici migliori le attività di un’azienda:

  • chi lavora in un ambiente positivo prende 10 volte meno giorni di malattia rispetto ai colleghi stressati;
  • raggiunge il 12% di produttività in più;
  • aumenta la sana competizione aziendale del 20%.

Pianificazione. Per generare reali profitti, ogni azienda, deve avere 3 caratteristiche imprescindibili:

1. Un buon Marketing;

2. Una giusta soluzione per un problema specifico (il prodotto/servizio);

3. Un’ottima gestione finanziaria.

Ognuna di queste caratteristiche richiede una pianificazione meticolosa. Un imprenditore che riesca a possedere le competenze per generare ognuna di queste caratteristiche, con grossa probabilità, non esiste. Nessuno al mondo ha mai avuto e potrà mai aver successo esclusivamente da solo, senza l’aiuto di nessun altro. I Tuttologi sono esseri mitologici che non trovano riscontro nella realtà. Ogni azienda ha sempre la necessità di trovare qualcuno che curi quegli aspetti in cui è carente. È per questo che, prima di avviare un progetto imprenditoriale, è necessario chiedersi in cosa si è bravi e cercare qualcuno che sia bravo in quello che non si sa fare. Se non fai Marketing, non trovi clienti. Se non trovi clienti, non puoi vendere. Se non gestisci correttamente le tue finanze, non generi marginalità da reinvestire e di conseguenza non puoi fare Marketing.

Nel frattempo la concorrenza ti supera… tutto ciò dando comunque per assodato che di base si abbia un buon prodotto o un buon servizio.

Considera sempre che anche nel caso in cui si possieda qualcosa che la gente sia disposta a comprare pur di risolvere un problema o soddisfare un bisogno, quando la concorrenza è agguerrita e non si fa marketing, i clienti hanno come unico ed esclusivo metro di paragone il prezzo. Finiscono sempre per paragonare “mele con le mele” e se pur si possieda il prodotto/servizio migliore i clienti penseranno che si ha di fronte la stessa cosa che ha la concorrenza. Non è colpa della crisi, non è colpa del cliente… è colpa del fatto che non si siano fornite le giuste motivazioni di acquisto al cliente.

Per questo un buon Piano di Marketing (ne ho parlato qui) si pianifica in questi punti:

  • Analisi di mercato
  • Analisi del target
  • Progettazione del Brand e definizione del posizionamento aziendale
  • Progettazione della Strategia
  • Misurazione e ottimizzazione

Quindi se il marketing è vendita nel senso più puro del termine pianificarlo in maniera corretta genera un aumento del fatturato e degli utili aziendali.

Pianificarlo in maniera corretta significa anche non truffare le persone con un prodotto che promette  un risultato che in realtà non dà.

Ovviamente bisogna far sì che l’aspetto finanziario venga anch’esso pianificato e gestito in maniera corretta, altrimenti si rischia che i risultati ottenuti con il marketing si ritorcano contro l’azienda stessa. Purtroppo per far questo il classico commercialista, non basta più. Non basta saper far di conto e assolvere agli adempimenti fiscali. È necessario affidarsi ad un consulente finanziario che possa prevedere reali scenari di sviluppo economico, oltre che controllare l’andamento finanziario dell’attività. Di fatti una buona pianificazione finanziaria deve essere in grado di dare certezze sul futuro di un’azienda. Deve poter rispondere ad alcune domande specifiche, come ad esempio:

  • Con gli attuali incassi e gli attuali costi qual è il futuro aziendale?
  • Se un pagamento dovesse “saltare”, che cosa succede nell’immediato e nel medio periodo ai miei flussi di cassa?
  • Come è corretto pianificare e programmare i pagamenti per consentire una sana gestione ordinaria dell’azienda?
  • Quali sono i fattori determinanti dei flussi di cassa?
  • Con la redditività attuale, come possono essere programmati nuovi investimenti?
  • Etc.

Come vedi ognuno di questi aspetti è fondamentale per una buona pianificazione strategica aziendale. Tornando ora al discorso iniziale, dopo averti mostrato quella che è la realtà che vivo quotidianamente, alla domanda sul futuro delle PMI la mia risposta può essere solo una: Non c’è futuro per le Piccole e Mediocri aziende italiane.

Né al sud Italia né tantomeno al Nord Italia o all’estero.

Il futuro oggi è solo in mano a chi conosce i suoi limiti e lavora per superarli. A chi conosce le sue carenze e si forma per colmarle. Ma non fraintendere, non voglio fare terrorismo psicologico infondato. Purtroppo le mie parole non sono solo avallate dalla mia esperienza personale, ma anche da studi ben più autorevoli di ciò che posso raccontarti personalmente.

La direzione che il nostro Paese sta prendendo è disastrosa, almeno secondo lo studio dello Statistical Yearbook 2017 di Eurostat (che ti invito caldamente a scaricare e leggere, ecco il link). In Europa l’Italia è un paese che cresce pochissimo, sembra quasi in declino. E il problema più grosso in Italia è il mezzogiorno, di cui nessuno parla più. Scarica lo studio e fatti una tua personale idea sull’argomento.

Sembra che l’Italia sia il fanalino di coda dell’Europa, ma del resto di che stupirci, la nostra classe imprenditoriale preferisce “comandare” invece che formarsi, preferisce controllare maniacalmente invece che delegare sapientemente.

Per le imprese che sono piccole negli intenti e nella visione, imprese dove vige la mediocrità e non la meritocrazia, non c’è futuro!

E la tua impresa invece, com’è messa? Fammelo sapere nei commenti.

Roccia!

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Come incrementare le vendite tramite il processo di acquisto.

Immagine articolo di blog Come incrementare le vendite tramite il processo di acquisto

Come puoi incrementare le vendite del tuo Business?

Studia e sfrutta a tuo vantaggio le informazioni di cui NON sai di essere già in possesso.

Queste informazioni si rivelano intervistando i clienti già acquisiti e ti consentono di decifrare e di sfruttare a tuo vantaggio il processo di acquisto del tuo target.

Incrementare le vendite del proprio business è il cruccio di ogni imprenditore che vuole veder crescere i dati positivi all’interno del proprio bilancio annuale.

Sono certo ti capita spesso di vederti bruciare trattative e di conseguenza  sfumare i sogni di aumento del fatturato. Aumentare le vendite, ti rassicuro subito, di certo è possibile, ma devi eseguire un rapido cambio di prospettiva.

Infatti sono sicuro che spesso sei stato liquidato dal tuo potenziale cliente con un “Ci penso qualche giorno e ti faccio sapere?”, ma chiaramente non si è fatto più sentire… Tante volte, lo so!

E in questi casi ti ritrovi a pensare dove e in quale parte della trattativa hai sbagliato: se hai fornito tutte le informazioni necessarie sulla tua soluzione, se hai risposto correttamente a tutte le domande che il tuo potenziale cliente ti ha posto, se il prezzo non fosse troppo alto e questioni di questo genere.

Stranamente, la trattativa, non si è convertita in vendita nonostante il tuo prodotto/servizio avesse delle nette caratteristiche vantaggiose rispetto a quelle della concorrenza.

Ora, quanto tempo hai perso a rincorrere quel potenziale cliente per un appuntamento? Quante telefonate? Quante email? Pensaci un attimo. Se al posto tuo il tempo lo sta perdendo il tuo commerciale guarda che è lo stesso!

Quanto tempo ti è costato il voler convertire quell’appuntamento in contratto?

La risposta corretta è TROPPO.

Sai perché?

Perché quasi sicuramente, anzi se stai leggendo questo articolo ne sono proprio convinto, la maggior parte dei tuoi tentativi di vendere si concentrano nella fase della TRATTATIVA.

Che cosa voglio dire? Che stai canalizzando tutti i tuoi sforzi nel convertire una persona in cliente, in un solo momento e paradossalmente in quello meno opportuno per il cliente. Stai eseguendo una trattativa con una persone che non è state pre-educata alla tua soluzione e quindi neanche pre-qualificata.

Non commettere anche tu l’errore di pensare
che la vendita sia un gioco di numeri

Non pensare che l’unico modo per aumentare le vendite sia quello di entrare in contatto con quante più persone possibili.

Non basta essere ottimi venditori, ma per avere un’attività di successo devi innanzitutto capire:

  • come intercettare i tuoi potenziali clienti;
  • come catturare l’attenzione dei tuoi potenziali clienti;
  • come aumentare le vendite convincendo quest’ultimi a decidere nella tua direzione.

Per rendere meglio l’idea, è come quando sei costretto a svegliarti la Domenica mattina presto perché una coppia di testimoni di Geova ha appena suonato alla tua porta. Magari li ascolti pure perché sei una persona educata e non ti va di cominciare la giornata con un improperio, ma passi quei (se tutto va bene) 10 minuti con la speranza che si tolgano dai piedi il più presto possibile.

Loro al termine della chiacchierata, andando via, ti lasceranno il volantino con la formula per salvarti dalle pene dell’inferno, e ti chiederanno quando potranno ripassare per farsi un’altra chiacchierata e sapere se avrai cambiato idea a riguardo.

Ti suona più familiare adesso?

Prova a moltiplicare questo modo di fare per “n” persone in un giorno, in una settimana, in un mese, e otterrai una montagna di ore sprecate della tua preziosissima vita, in una caterva di NO e se sei fortunato un paio di “Ni”.

Non sto dicendo che se segui i miei consigli i NO non arriveranno mai, ma per lo meno saranno in numero sicuramente inferiore rispetto ai tanto agognati SÌ!

Devi smetterla di pensare come un venditore e iniziare a pensare esattamente come il tuo cliente.

Per aumentare le vendite
devi partire e sfruttare a tuo vantaggio
il processo di acquisto dei tuoi clienti.

Se credi che il modo corretto per migliorare le vendite sia quello di prendere nominativi dalla pagine gialle o da una lista di conoscenti e amici per poi tartassare queste persone di offerte sulle quali non hanno espresso il benché minimo interesse e che questo per te rappresenti l’idea di fare imprenditoria… bé ho una bruttissima notizia per te.

Adesso prima di entrare nel merito del metodo per aumentare le tue vendite, è importante che consideri con attenzione tre dati importanti.

  • Il primo: la gente non compra tutto con lo stesso livello di impegno.
  • Il secondo: entro i prossimi 10 anni tutti gli italiani saranno connessi a internet.
  • Il terzo: il 68% delle decisioni di un cliente sono prese ancor prima di incontrarti.

Perché questi dati sono importanti per aiutarti a capire come puoi aumentare e migliorare le tue vendite?

Le questioni sulle quali voglio farti riflettere prima di parlarti nel concredo di ciò che potrai (e dovrai) fare già da domani mattina per trovare la tua strategia per aumentare le vendite sono queste:

  • La prima: proprio perché non tutto si compra con lo stesso livello di impegno, copiare la strategia dei tuoi concorrenti, di grossi brand o di altri pi§ in generale non ti porterà da nessuna parte se non a essere percepito come l’ennesima copia della copia o come uno che fa solo propaganda.
  • La seconda: anche se entro i prossimi 10 anni tutti gli italiani saranno connessi a internet non vuol dire per forza che tutti i canali che ci mette a disposizione, devono essere utilizzati con obiettivo di vendita.
  • Il terzo: il fatto che il 68% delle decisioni di un cliente sono prese ancor prima di incontrarti, non ti vieta di fare trattative a “freddo”.

A prescindere dal livello di impegno richiesto per l’acquisto di una soluzione rispetto a un’altra, le persone (che sia on oppure off line) cercano attivamente informazioni per risolvere i loro problemi,  soddisfare i propri bisogni, oppure entrambi.

Se la tua soluzione risolve un particolare problema o soddisfa determinati bisogni e tu dai le dovutegiuste e rilevanti informazioni sui canali corretti è molto probabile che saranno loro a trovare te!

Questo perché tutte le persone, per qualsiasi tipo di settore merceologico, sono soggette a un percorso logico prima di qualsiasi acquisto, chiamato in gergo tecnico processo di acquisto o customer journey.

Conoscere il modo in cui i consumatori si approcciano alla scoperta, alla valutazione, fino ad arrivare all’acquisto del tuo prodotto o del tuo servizio è di importanza cruciale ai fini del successo delle tue vendite.

Come ho già detto, gli acquisti non avvengono certamente tutti con lo stesso livello di impegno, e quello che il consumatore mette nel processo d’acquisto cambia a seconda di diversi fattori:

  1. Caratteristiche del bene da acquistare (frequenza d’acquisto, valore, complessità tecnologica);
  2. Livello di coinvolgimento psicologico;
  3. Grado di rischio associato all’acquisto.

Ad esempio: hai presente il momento in cui sei alla cassa del supermercato per pagare, vedi l’espositore con i Tronky e ne prendi uno per mangiarlo in macchina? Ecco, quello è un acquisto d’impulso. NON parlerò di questa tipologia di acquisti.

In tutti i casi di acquisto ad elevato coinvolgimento (cioè, che vengono acquistati meno frequentemente, con un prezzo medio/alto, complessi tecnologicamente, in cui il consumatore è emotivamente coinvolto, e ai quali sono associati maggiori rischi) per il consumatore, ci sono 5 fasi ben precise che quest’ultimo segue prima di infilare le mani nel portafoglio e decidersi a tirare fuori i soldi.

Vediamoli insieme.

1. Riconoscimento del bisogno o del problema.

È dove tutto ha inizio, la fase delle fasi, il momento più importante.

Nessuno acquista qualcosa per il semplice gusto di spendere soldi. Ne deve sentire il bisogno, che definiamo come:

“la percezione di uno stato di privazione che porta il consumatore ad avvertire un divario più o meno grande tra la situazione attuale e quella desiderata o ideale”.

La percezione di questo stato di privazione può essere innescata tanto da stimoli interni (fame, sete, stimoli sessuali e così via) quanto da stimoli esterni (vedo una bella macchina, un nuovo smartphone, una destinazione turistica e…. voglio averli); ed è qui che devono agire le azioni di Marketing.

Una buona strategia comunicativa (scopri in questo articolo come fare un piano di marketing) deve conoscere il modo in cui uno stimolo arriva a far percepire un bisogno e a stimolarlo per fare in modo che si verifichino le circostanze adatte in cui, grazie a questo stimolo, viene innescato tutto il processo.

Perché, ricorda:

 “anche lo stimolo più forte, nulla può se indirizzato nel posto sbagliato, al momento sbagliato, verso il soggetto sbagliato”.

Ok, ora abbiamo il nostro bel consumatore che ha avvertito un divario dentro di sé; questo divario è stato abbastanza grande, e perciò gli è scaturita quella reazione di comportamento chiamata motivazione. Ma ora che si fa?

Ora, il nostro potenziale cliente ha 3 possibilità:

  • Reprimere tutto quello che sta provando;
  • Rimandare la considerazione di quello che sta provando ad un altro momento (per mancanza di tempo, di denaro o per altri motivi);
  • Decidere di soddisfare il bisogno, quindi può proseguire con le fasi successive.

Mentre tu hai un paio di doveri:

  • Defnire passioni, bisogni e problemi dei tuoi potenziali clienti;
  • Progettare una strategia comunicativa che nella sua prima fase faccia leva sui bisogni o sui problemi dei tuoi potenziali clienti.

Come fare? Poni (solo a scopo esemplificativo) le seguenti domande ai clienti che hai già acquisito:

  • Cosa ti ha spinto ad acquistare la mia soluzione?
  • Avevi un particolare problema da risolvere o un bisogno da soddisfare?
  • Cosa sarebbe successo se l’acquisto (con me o qualsiasi concorrente) non si fosse concluso? Al contrario, come ti senti ora?

Le semplici risposte a queste domande ti aiutano a capire quali sono le più grandi preoccupazioni, bisogni o desideri che il tuo target intende risolvere, soddisfare o raggiungere.

È su questi elementi che devi impostare la tua strategia comunicativa.

Se la tua soluzione aiuta il tuo target ad uscire da una situazione dolorosa e di disagio (Thanatos), allora la tua comunicazione vertirà in un primo momento sui problemi che il tuo potenziale cliente sta vivendo e di come la sua sitauzione possa aggravarsi se non li risolve subito agendo nella tua direzione. In seguito ad averlo “aiutato” ad aggravare il suo problema invece, devi parlargli di come la sua situazione cambierà in meglio dopo – appunto – l’acquisto della tua soluzione.

Al contrario, se la tua soluzione aiuta il tuo target a sentirsi appagati o a raggiungere un certo status quo (Eros) la tua comunicazione vertirà fin da subito sui benefici, e di come questi possono fargli “raggiungere” il tanto desiderato sé ideale.

2. Ricerca delle informazioni.

A questo punto il potenziale cliente si mette in moto. Vuole un certo prodotto/servizio, ma non lo comprerà (non per adesso, almeno). Prima vorrà saperne di più, e potrà farlo in due modi diversi, e cioè attuando una ricerca:

a) Passiva: Non cerca informazioni, ma ha un alto livello di attenzione che gli permette di cogliere gli stimoli delle imprese/brand.

Durante questa fase, anche se un prodotto non è di diretto interesse per lui, la sola esposizione alle comunicazioni, all’attrattività del packaging, alle attività promozionali delle vendite e quant’altro, può tradursi in una sorta di apprendimento incidentale, ossia un apprendimento non voluto e non desiderato, ma che comunque si verifica!

b) Attiva: Scansiona il proprio ambiente per ricercare dati o elementi che possano aiutarlo a prendere una decisione facile e veloce (e razionale, ma questo solo secondo lui!).

Ma di fatto, da dove le prende le informazioni?

Devi sapere che gli esseri umani sono pigri per definizione. Se c’è da fare qualcosa, chiunque ha interesse nel farlo nel modo più breve e veloce possibile. Il nostro potenziale cliente non è da meno. Proprio non gli va.

E quindi cosa fa?

Ricerca internamente, nella sua memoria, e vede se riesce a trovare qualcosa di utile: ha già fatto un acquisto del genere in passato? Ha già avuto esperienze passate con un certo brand?

Se emergono dei dati utili, vorrà dire che verrà utilizzata una quantità minore di informazioni da fonti esterne.

Fonti esterne diverse hanno un appeal diverso sul nostro consumatore:

– le fonti commerciali (e cioè la TUA pagina Facebook, il TUO sito web, le TUE azioni di comunicazione online e offline, oltre al personale di vendita e ai negozianti) sono utilizzate nella fase iniziale di interessamento del consumatore al prodotto;

– le fonti personali (amici, colleghi, parenti, conoscenti) invece, sono usate nelle ultime fasi del processo decisionale, poiché è chiaro che sono più affidabili, non essendo soggette a conflitto d’interessi. Il consumatore, allora, si esporrà e comincerà a chiedere informazioni alle persone a lui più vicine e che percepisce come suoi simili (gruppo dei pari o peer group).

– le fonti pubbliche (mezzi di comunicazione, organizzazioni dei consumatori) sono le più autorevoli, al pari delle fonti personali;

– le fonti empiriche (osservazione, contatto con il prodotto e prova del prodotto) sono molto utili, ma non sempre sufficienti.

Il Consideration Set

La ricerca delle informazioni comporta sempre un costo, non è MAI totalmente gratuita. Parlo di costi non necessariamente in termini monetari, ma anche relativi al tempo e alle risorse (cognitive) impiegati.

Per minimizzare questi costi, il consumatore si crea il cosiddetto CONSIDERATION SET. Ma che diavolo è?

Ti faccio un esempio.

Sei al supermercato e all’improvviso ti ricordi che a casa tua manca il dentifricio: cosa fai? Ovviamente vai nell’apposito reparto, ma ci trovi 3…5…8…15 marche di dentifrici tra cui ti devi destreggiare. Molto bene.

Sono sicuro che la situazione non sarebbe poi così tragica. Non credo proprio che rimarrai lì a morderti le dita dalla frustrazione cercando di capire quale dentifricio possa essere più adatto ai tuoi denti splendenti perché, in fondo, lo sai già.

E se lo sai, è proprio perché nella tua mente c’è già un piccolo gruppo di marche, comprese in una stessa categoria di prodotto o servizio (quella dei dentifrici, in questo caso), che tu consideri seriamente quando devi acquistare un prodotto/servizio di quella categoria. Quello è il Consideration Set.

Come si forma un consideration set?

Per sottrazione.

Il consideration set sono le marche o i prodotti che rimangono nella mente del consumatore quando ha ridotto le proprie scelte in base ai suoi criteri di selezione personali, come ad esempio numero di esposizioni passate al prodotto/marca, livello di consapevolezza di marca, posizionamento di marca percepito, prezzo etc.

Succede questo perché la capacità degli esseri umani di processare un insieme di informazioni in un dato momento è limitata. Per questo riducono – consciamente o inconsciamente – il numero di scelte a loro disposizione ogni volta, fino ad ottenere il consideration set.

E quindi, cosa dovresti fare TU per essere PERLOMENO CONSIDERATO tra le possibili opzioni d’acquisto in questa fase (altrimenti neanche lontanamente puoi sognare di migliorare o aumentare le tue vendite)? Sicuramente:

  • Devi almeno esserci. Devi fare in modo che per il consumatore sia facile imbattersi nella tua marca quando vuole risolvere il problema che tu dici di risolvere. E oggi, che la ricerca di informazioni online è diventata la gran parte della fase di ricerca delle informazioni, è essenziale anche essere ben posizionati soprattutto online: la SEO può darti una grossa mano in questo.
  • Dare al tuo brand un posizionamento differente rispetto alle marche della stessa categoria (i tuoi concorrenti, per capirci): è preferibile che tu sia l’UNICO a fare quello che fai, nel MODO in cui lo fai; è facile, infatti, che il consumatore scambi una marca per un’altra in un consideration set poiché, al suo interno, le differenze tra le marche tendono a diventare minime;
  • Comprendere il modo in cui i consumatori si approcciano alla scelta del prodotto/servizio nella categoria in cui tu competi, e attuare un programma di comunicazione coerente che riesca ad evidenziare nel tuo prodotto/servizio gli stessi attributi e benefici che il consumatore ricerca;
  • Capire quali sono le fonti di informazioni che il consumatore utilizza di più quando deve comprare un prodotto/servizio presente nella categoria in cui tu competi, e la loro relativa importanza: in questo modo potrai prevedere una comunicazione efficace per il mercato di riferimento.

Come fare? Poni (solo a scopo esemplificativo) le seguenti domande ai clienti che hai già acquisito:

  • Perché hai scelto la mia soluzione rispetto a quella dei miei concorrenti?
  • Quali sono le carattaristiche/benefici/comodità della mia soluzione che in quelle concorrenziali non hai trovato? Cosa ti ha colpito in particolar modo?
  • Quali sono i problemi che hai avuto con i miei concorrenti (o con le soluzioni concorrenziali) che con me invece hai avuto o risolto?
  • Di quali e quante informazioni hai avuto bisogno prima di acquistare?
  • Da quali fonti le hai prese? E su quali canali?
  • Cosa ti ha spinto a conttatare me piuttosto che un mio concorrente?

Grazie alle risposte a queste domande puoi capire su quali aspetti fare leva nella tua comunicazione, quali caratteristiche del tuo posizionamento di mercato mettere in risalto e su quali canali distribuire sapientemente queste informazioni.

3. Valutazione delle alternative.

Questa è la fase che richiede il maggior sforzo per il nostro omino, a causa dell’abbondanza di scelte a sua disposizione (marche diverse, diverse varianti etc.).

La situazione è questa: il consumatore ha selezionato il suo piccolo gruppo di marche e dovrà sceglierne una sola. Non può certo comprarle tutte.

Allora le farà passare attraverso diversi “setacci”, cioè le analizzerà tenendo conto di diversi fattori:

  • Benefici offerti;
  • Qualità, caratteristiche, attributi;
  • Prezzo;
  • Storia del brand;
  • Popolarità, immagine e reputazione del brand;
  • Esperienza passata con il brand;
  • Servizi trasversali offerti (servizio post vendita, garanzia, installazione gratuita etc.)
  • Disponibilità della marca e credibilità del venditore;

La marca valutata meglio in base a questi fattori, sarà quella che probabilmente verrà scelta.

Può anche capitare che sorga la domanda “Ma è veramente questo il prodotto/servizio che mi serve?”, oppure “sto facendo la scelta giusta?”; se la risposta è no, è molto probabile un salto indietro alla 2° fase di ricerca informazioni.

La tua comunicazione ha il compito di evidenziare le caratteristiche del tuo brand e dei tuoi prodotti, renderle importanti.

Normalmente, rigettata una marca, è difficile poi convincere il consumatore a concederle una seconda possibilità. È bene quindi che una marca sia perfomante fin dal principio.

In alcuni paesi è usata la pratica della pubblicità comparativa – ovvero la comunicazione orienteta alla concorrenza – proprio perché i brand vogliono facilitare i consumatori nella fase di comparazione e scelta.

Cosa fare? Poniti questa volta (solo a scopo esemplificativo) le seguenti domande:

  • In quale modo posso agevolare l’acquisto ai miei clienti?
  • Offro una delivery della soluzione più comoda, più economica, che evita determinati complicazioni o problemi rispetto ai miei concorrenti?
  • Sono in grado o nelle condizioni di offrire una determinata garanzia? Sarebbe una tecnica efficace?
  • Offro un metodo di pagamento differente dai miei concorrenti?

Le risposte a queste domande ti aiutano ad abbatere quelle barriere che i potenziali clienti incontrano poco prima della fase di acquisto.

4. L'acquisto.

Ci siamo: la tua marca è così aderente ai bisogni dell’omino al punto che è stata scelta tra le tante per l’acquisto.

Ora il consumatore deve solo decidere dove e quando acquistare, o in alternativa se rinviare l’acquisto. Ci sono diverse ragioni per cui quest’ultima opzione può verificarsi:

  • Umore del momento, particolare scopo/situazione per cui il prodotto si rende necessario;
  • Personale di vendita: il suo ruolo è tanto più importante, quanto meno il consumatore è informato riguardo al prodotto. Più informazioni e conoscenze il consumatore ha, meno carte da giocare avrà il personale di vendita per portare a casa il risultato.
  • Atteggiamento degli altri (per esempio un suo amico stimato gli sconsiglia vivamente l’acquisto); quanto forte sarà l’atteggiamento negativo degli altri e quanto più questi sono vicini al consumatore, tanto più lui sarà costretto a rivedere la decisione d’acquisto di cui tanto era certo;
  • Ambiente fisico del punto vendita: dimensione, odori, musica di sottofondo, colori, affollamento: si parla di atmosfera del punto vendita;
  • Persone presenti nel punto vendita: i co-consumatori possono essere uno stimo forte all’acquisto in certi casi e un forte deterrente in altri;
  • Disponibilità di tempo;
  • Fattori situazionali non previsti.

Il Rischio Percepito

È un altro fattore che può pesare tantissimo sulla decisione d’acquisto, quindi merita un discorso a parte: esso dipende dalla quantità di denaro da spendere, dal livello d’incertezza che caratterizza l’acquisto e dal livello di fiducia in sé stessi. Diversi pezzi lo compongono:

  • Rischio finanziario: il prodotto vale davvero tutti questi soldi?
  • Rischio di performance: sarà veramente come dicono in tv/nel depliant/sulla confezione? Lavorerà davvero in questo o in quel modo?
  • Rischio psicologico: sono sicuro che mi sentirò bene con questo prodotto? È sicuro che risolverà il mio problema? Non starò facendo una cavolata?
  • Rischio sociale: cosa penseranno gli altri se compro questa cosa? Mi derideranno? Mi approveranno?
  • Rischio di non aver impiegato al meglio il tempo a disposizione: principalmente a causa dell’eventuale fallimento del prodotto acquistato.

Tu, come imprenditore, dovresti fare uno sforzo e cercare, nella comunicazione che fai della tua soluzione, di SMONTARE ognuno di questi rischi: qual è il rischio che più comunemente avvertono i tuoi clienti quando si avvicinano all’acquisto?

  • Rischio di performance? Hai provato a pensare ad una prova gratuita/a prezzo ridotto o ad una dimostrazione?
  • Rischio psicologico? Hai pensato di mettere in evidenza le recensioni migliori di persone che hanno già acquistato (principio di riprova sociale)? A proposito, ma le chiedi le recensioni ai tuoi clienti?
  • Rischio finanziario? È configurabile un sistema di pagamento dilazionato oppure la possibilità di acquistare ora e pagare tra tot tempo?

Devi inoltre TRASFORMARE da deterrenti a motivanti tutti i fattori che potrebbero causare un rinvio o addirittura un annullamento della decisione.

5. Comportamento successivo all'acquisto.

Il tuo prodotto è stato acquistato!

Puoi chiudere la tua azienda e andare a dormire sonni tranquilli, tanto hai un nuovo cliente!

Ovviamente sto scherzando.

  • È in questa fase che, non è raro, le prestazioni percepite prendono a schiaffi le aspettative.
  • È in questa fase, immediatamente dopo essersi reso conto di aver chiuso l’acquisto, che il consumatore prova il cosiddetto stato di regret, ossia del rimorso post-acquisto (specie per i prodotti più costosi);
  • È sempre in questa fase che si verifica dentro di sé il fenomeno della dissonanza cognitiva

Il Buyer’s remorse e la Dissonanza Cognitiva

Il Buyer’s remorse, letteralmente “rimorso del compratore” è quello stato di rimorso in cui si trova chi ha appena effettuato un acquisto. È frequentemente associato all’acquisto di un prodotto costoso come una macchina o una casa.

Può derivare dalla paura di aver fatto la scelta sbagliata, dal senso di colpa che si avverte per la stravaganza dell’acquisto o dal sospetto di essere stato eccessivamente influenzato dal venditore.

Il rimorso post-acquisto sembra derivare da un fenomeno strettamente connesso: la dissonanza cognitiva.

O meglio, ne è manifestazione.

La dissonanza cognitiva è un fenomeno concettualizzato da Leon Festinger negli anni ’50 ed è definibile come:

“la sensazione di disagio psicologico sperimentata da una persona che, nello stesso momento, sostiene due o più idee, credenze o valori che si contraddicono a vicenda”.

Comunque, è una situazione veramente scomoda per il consumatore, e raggiunge il suo livello massimo quando gli aspetti negativi che scopri riguardo al prodotto che hai comprato si scontrano con gli aspetti positivi di tutti gli altri prodotti che hai scartato.

È paradossale, lo so. Per questo ci do tanta importanza.

E dovresti farlo anche tu se il tuo prodotto è il tipico caso di un prodotto costoso e ad elevato coinvolgimento.

Comunque, posso anticiparti che non dovrai andare a casa di nessun tuo cliente a fare psicoterapia o a porgere fazzoletti.

Gli esseri umani hanno delle strategie tutte loro per uscire fuori da situazioni di questo tipo, che in psicologia (e criminologia) prendono il nome di “tecniche di neutralizzazione”. Senza cadere in tecnicismi inutili, in sostanza succede che il consumatore attuerà comportamenti tali da neutralizzare o ridurre la situazione di dissonanza. Come?

  • Riducendo l’importanza di uno degli elementi dissonanti (Es. l’avrei comunque dovuto comprare, per quel lavoro che devo fare tra 6 anni).
  • Giustificando un comportamento dissonante con una scusa qualsiasi (“Ho agito così perché ero di fretta, perché non ci ho pensato” etc.).
  • Evitando di acquisire quelle informazioni, come annunci pubblicitari relativi al prodotto scartato, che potrebbero aumentare la dissonanza. Sceglierà le cose da vedere e da sentire, ad esempio evitando di vedere o di ascoltare in tv o alla radio, fatti non congruenti con le proprie opinioni e con la scelta che ha fatto.
  • Modificando lo schema di riferimento utilizzato per effettuare la scelta. In tal caso sottovaluterà le caratteristiche positive non possedute dal prodotto/servizio scelto e sopravvaluterà invece tutti quegli aspetti sui quali l’alternativa scelta è risultata superiore.
  • Credendo di essere stato “costretto” dalle circostanze ad effettuare quella scelta non completamente coerente con le proprie preferenze.

Visto? Hai già la strada spianata.

Cosa fare dunque? Devi semplicemente alimentare questa scia di atteggiamenti attraverso una comunicazione mirata ad alleviare lo stato di disagio.

Hai presente i messaggi di congratulazioni che solitamente trovi all’interno della confezione di un prodotto e che esaltano accuratamente le sue qualità? A cosa servono, se non ad attenuare il dolore straziante post-acquisto?

La soddisfazione del tuo ormai cliente, a questo punto, è importantissima e non fine a sé stessa. Ed è proprio a questo punto che, per aumentare le vendite e tentare di migliorare le prossime, il tuo obiettivo sarà:

  • spingere lo stesso a bussare di nuovo alla tua porta quando avvertirà lo stesso tipo di bisogno (se il tuo business lo consente).
  • spingere lo stesso a lasciarti una testimonianza che tu avrai premura di  pubblicare ovunque.
  • spingere lo stesso a lasciarti una o più referenze.

Ma non finisce qui. Il post-vendita è rilevante per la soddisfazione del cliente, così come lo sono le funzionalità e le caratteristiche di ciò che vendi. Hai pensato di creare un luogo, una pagina, un numero di telefono in cui i clienti possono fare reclami?

Un reclamo non è di per sé un elemento negativo, perché il cliente accetta un problema nella misura in cui l’impresa è in grado di risolverlo. I reclami sono un’importante fonte di informazione che permette di conoscere meglio le aspettative dei clienti e la qualità percepita dei prodotti dell’impresa.

Ricorda che: un consumatore soddisfatto comunicherà la sua soddisfazione a ben 3 persone, in media. Un consumatore insoddisfatto, invece, a circa 11 persone.

Ricapitolando.

Poniti come un punto di riferimento!

Fatte queste dovute considerazioni, cosa fare affinché tu possa EVITARE di continuare a bruciarti le trattative ed essere “ostaggio” del tuo potenziale cliente? Come aumentare in definitiva le vendite?

Annulla il focus sulla trattativa. Non elargire informazioni e consulenze solo in quel determinato momento. Distribuisci piuttosto quel tempo e diluisci le informazioni presenziando ogni fase del processo di acquisto del tuo target, accompagnandolo “inconsciamente” verso l’azione finale: richiesta di un appuntamento, di un preventivo, di maggiori informazioni o l’acquisto.

Sfrutta i vari canali definiti dal processo di acquisto a tuo favore, settando così una strategia omnichannel.

Per far ciò una delle primissime cose da fare si chiama TARGETING.

Ovviamente non è l’unica, ma non preoccuparti nei prossimi articoli del blog affronteremo anche le altre.

Per Targeting s’intendono tutte quelle tecniche e strategie messe in atto, al fine di selezionare, attrarre e lavorare esclusivamente un target (segmento di pubblico) di persone, potenzialmente interessate alla tua azienda, e sensibili al tipo di soluzione, che tu offri, per il loro problema.

Questo è lo scopo della comunicazione nel Marketing: “parlare” SOLO a quel pubblico che è già propenso, per una serie di motivi (stimolo o scoperta) ad acquistare ciò che tu hai da offrire, NEL momento in cui questi lo stanno cercando.

Studia attentamente il tuo target di riferimento il suo relativo processo di acquisto, presenzia tutte le fasi e i luoghi virtuali e non tramite cui acquisiscono le informazioni a loro necessarie, poniti come un punto di riferimento per il tuo settore o abbi almeno un posizionamento rilevante, e vedrai come le vendite aumenteranno a dismisura.

Roccia!